Ad avviso della Suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 31273/2020 nulla osta, in astratto, alla riconduzione delle condotte di mobbing lavorativo nell’alveo degli “atti persecutori” di cui all’art. 612 bis c.p. in quanto la condotta descritta dalla norma può esplicarsi con modalità atipica, in qualsivoglia ambito della vita privata, purché sia idonea a ledere il bene giuridico tutelato e dunque la libertà morale della persona offesa, all’esito della verifica della sussistenza del nesso di causalità.